(questo articolo di SARA GAROFALO è stato pubblicato nel n.3/16 della rivista SdC – Sale della Comunità)
Leggere il cinema con gli strumenti della filosofia: questa è la scommessa proposta da Roberto Mordacci, preside della Facoltà di Filosofia e docente di Filosofia morale presso l’Università San Raffaele di Milano, nonché appassionato di cinema e curatore, per TgCom24, della rubrica «Al cinema con il filosofo». Il volume rielabora in forma più distesa le analisi proposte nella rubrica televisiva, raccogliendo trentasette schede di film usciti tra il 2013 e il 2014.
Senza la pretesa di proporre una vera e propria critica cinematografica, l’autore si accosta alle pellicole con lo sguardo del filosofo e dall’incontro tra cinema e filosofia nasce un duplice frutto. Da una parte l’uso della filosofia come chiave interpretativa consente di portare alla luce temi e significati a volte nascosti o soltanto allusi dalle sequenze dei film; dall’altra, scegliere il cinema come campo di applicazione dell’indagine filosofica, consente all’indagine stessa di assumere «una leggerezza che fa affiorare quello che i film dicono con una spontaneità, che i ragionamenti troppo distaccati non conoscono». In altre parole, se il cinema acquista profondità dalla lettura filosofica, la filosofia, accostandosi alle immagini, si libera dalla «fatica del concetto», senza per questo rinunciare al suo scopo, anzi raggiungendo felicemente l’obiettivo di enucleare delle idee, di condurre un discorso sul reale in grado di arricchire «la nostra capacità di comprenderci e di farci comprendere». Il contributo del filosofo diviene così quello di «offrire qualche strumento, derivato dalla lunga tradizione del pensiero, per cogliere ciò che di un film può prendere un senso più ampio, più profondo, capace di intercettare tanto le nostre personali riflessioni quanto quelle che si sono depositate in tale tradizione».
«Pensare con lo schermo»
I principali dettagli tecnici di ogni pellicola (titolo originale, regia, interpreti, sinossi, ecc.) sono raccolti sinteticamente in una scheda seguita dal commento dell’autore che, trattando i film come «veri e propri testi filosofici», tende a far affiorare in modo più discorsivo le idee sottese alla narrazione cinematografica. Talvolta questa prospettiva viene integrata con una lettura di tipo storico estetico, che conduce a «leggere i film come documenti storici, artistici e sociali, che chiedono di essere interpretati anche in chiave filosofica, come forme di cultura che fanno parte del nostro patrimonio di idee e di espressioni». Le pellicole analizzate nel volume Al cinema con il filosofo sono infatti racchiuse in sezioni che le raggruppano secondo elementi tematici comuni, proponendo una gamma piuttosto ampia di contenuti. Si va, ad esempio, da film che mettono in luce valori e disvalori della società contemporanea (The wolf of Wall Street, American Hustle, American Sniper, Il sale della terra) ad altri che toccano in modo problematico il tema della giustizia (Perez, La spia, Hannah Arendt, Vizio di forma); da pellicole che guardano alla complessa realtà del nostro Paese, talvolta anche in prospettiva storica attraverso lo sguardo di grandi personaggi del passato (La grande bellezza, Il giovane favoloso, Pasolini, Anime nere) ad altre nelle quali sembra prevalere il vagheggiamento di «valori cortesi» (Grand Budapest Hotel, Solo gli amanti sopravvivono, Ritorno a L’Avana); da riflessioni su come la crescita umana, l’affermazione di sé vengano favorite ma a volte complicate dai legami familiari (Boyhood, L’amore bugiardo, Gemma Bovery, Lettere di uno sconosciuto) ad altre su come i problemi da sempre legati alla realtà ineludibile dell’affettività umana si modellino in relazione allo sviluppo tecnologico (Lei, Interstellar, La vita di Adèle).
La nuova forma dell’impegno: temi forti e (ri)costruzione di identità
Il bilancio conclusivo che Roberto Mordacci trae dalle sue analisi conduce a due distinte conclusioni. L’autore compie infatti un discorso generale sullo stato dell’arte cinematografica, nell’ambito del quale registra, in senso del tutto positivo, «l’evidenza […] di un cinema, e quindi di una coscienza collettiva, che accetta la sfida dei temi forti». Tra questi, si annoverano ad esempio la guerra, il tragico, la sete di denaro, la truffa, ma anche l’aspirazione alla giustizia, l’amicizia e l’importanza delle relazioni, la ricerca della bellezza e della cortesia e la presenza (ravvisata in modo particolarmente consapevole in Locke di Steven Knight) di «un sano realismo del volere, che non si pensa affatto onnipotente, bensì semplicemente umano, responsabile, autentico». Su questa scia la seconda osservazione generale che viene proposta riguarda la condizione dell’individuo, così come emerge dalle pellicole prese in esame. Non traspare più infatti, a parere dell’autore, l’immagine di un io frammentato, perso nell’assenza di valori certi a cui aggrapparsi e in qualche modo compiaciuto di questa disperata condizione. Diversamente, si nota che «anche nella più profonda abiezione e nella sofferenza, la ricerca di un riscatto personale e umano è visibile» e che «c’è, di nuovo, una matura accettazione del limite e una consapevole costruzione di identità finite, imperfette (Frances Ha, Synecdoche) e antieroiche (Doc Sportello in Vizio di forma). Vi è anche la capacità di non rinnegare sé stessi (Birdman, Tutto sua mia madre, Sils Maria) e di attraversare il mondo per comprendere che ciò che saremo dipenderà in fondo solo da noi stessi (Ida)».
In questa prospettiva, secondo l’autore, è possibile teorizzare un superamento del postmoderno in vista di una nuova modernità, nella quale il soggetto non rinuncia più al suo essere persona, anzi si fa carico dei suoi limiti e delle sue imperfezioni per «formare la sua individualità personale con i materiali a disposizione».