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MARCO, la recensione: l’effetto delle menzogne
Gli Orizzonti di Venezia 81

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Simone Agnetti analizza Marco, il film presentato nella sezione Orizzonti di Venezia.

Fino a che punto ci si può spingere nel mentire sulla propria vita? Quanto il desiderio di sentirsi appagati e riconosciuti può portare un uomo a costruire immense falsità? Marco non è certo il primo film su un grande bugiardo, è la materia di cui la pellicola si occupa che lo rende nuovo: un falso deportato dai nazisti.

Eduard Fernández interpreta Enric Marco, uomo al centro di un grande scandalo spagnolo, diretto dai registi Aitor Arregi e Jon Garaño presentato a Venezia nella sezione Orizzonti. I due hanno avuto per 18 anni rapporti con il vero Marco, con il quale hanno lavorato ad un documentario sulla sua contestata vita. L’uomo, morto a 101 anni, dagli anni Settanta -in epoca di contestazione antifranchista- fino al 2005 si dichiarò un deportato dai nazisti. Dopo una lunga attività sindacale si dedicò ad essere il portavoce degli internati spagnoli che non avevano avuto nessun riconoscimento fino ai primi anni Duemila. Negli anni della sua vivace presidenza dell’associazione la visibilità per gli ex deportati fu molta, fino ad arrivare ad essere pubblicamente appoggiata dal governo Zapatero.

Proprio nel momento in cui il successo andava a coronarsi si scoprì che Marco non era stato un deportato, ma un volontario andato a lavorare in Germania in epoca franchista. Il film mostra le modalità di costruzione di una vita finta, di cui lo stesso protagonista si auto-convince, sostenuta dall’apparente ingenuità di un uomo che, ad ogni persona che incontra, dona un insaccato per fare amicizia o per scusarsi.

Marco: una storia di menzogne e di auto-convinzioni

Nonostante l’evidenza documentale a suo sfavore, Enric Marco ha sempre sostenuto di essere vittima di un complotto, mantenendo viva una complessa ed elaborata menzogna, sia in pubblico sia all’interno della propria famiglia. Un millantatore geniale che, nel suo operato, ha avuto il pregio di aver portato il caso degli ex-deportati spagnoli nei campi di concentramento nazisti alla ribalta nazionale, dopo decenni di oblio e opposizione governativa.

Da questo fatto clamoroso e dagli anni di autodifesa che ne sono conseguiti i registi hanno steso il racconto di un uomo ingabbiato nella finzione che egli stesso ha generato. Il film si concentra molto sul contenuto narrativo, ben svolto, mantenendosi nei ranghi di un prodotto classico. Aitor Arregi e Jon Garaño esplicitano la finzione nella finzione mostrando il ciak in apertura. Con lo stesso intento, per marcare la finzione filmica, verso la fine, vediamo una serata di cinema in cui Marco guarda un documentario su se stesso, al quale ha lavorato, e lo contesta perché non rispecchia la verità, facendoci entrare in un cortocircuito di finzioni sovrapposte.

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Sull'autore

Simone Agnetti

Simone E. Agnetti, Brescia 1979, è Laureato con una tesi sul Cinema di Famiglia all’Università Cattolica di Brescia, è animatore culturale e organizzatore di eventi, collabora con ANCCI e ACEC, promuove iniziative artistiche, storiche, culturali e cinematografiche.

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