1997. Caterino, uomo semplice e rude è uno dei tanti operai che lavorano all’Ilva di Taranto. Vive in una masseria caduta in disgrazia per la troppa vicinanza al siderurgico e condivide con la sua fidanzata il sogno di trasferirsi in città. Quando i vertici aziendali decidono di utilizzarlo come spia per individuare i lavoratori di cui sarebbe bene liberarsi, Caterino comincia a pedinare i colleghi e a partecipare agli scioperi solo ed esclusivamente alla ricerca di motivazioni per denunciarli. Ben presto, non comprendendone il degrado, chiede di essere collocato anche lui alla Palazzina LAF, dove alcuni dipendenti, per punizione, sono obbligati a restarvi privati delle loro consuete mansioni. Questi lavoratori non hanno altra attività se non quella di passare il tempo ingannandolo giocando a carte, pregando o allenarsi come fossero in palestra. Caterino scoprirà sulla propria pelle che quello che sembra un paradiso, in realtà non è che una perversa strategia per piegare psicologicamente i lavoratori più scomodi, spingendoli alle dimissioni o al demansionamento. E che da quell’inferno per lui non c’è via di uscita.
Sconosciuto ai più, quello della famigerata “palazzina LAF” situata nel complesso industriale dell’Ilva di Taranto, è stato un caso esemplare dal punto di vista giudiziario. Esso è infatti oggi considerato il primo di mobbing acclarato e operato in Italia. In tal senso è assolutamente meritorio l’interesse manifestato da Michele Riondino che, per il suo esordio dietro la macchina da presa, non ha certamente scelto la strada più semplice, ma anzi un soggetto spinoso e complesso cui dare voce.
Non è un caso che proprio il soggetto con la sceneggiatura siano gli aspetti di maggior pregio di un’opera prima dagli esiti mercuriali, attraversata da luci e ombre, ma che si lascia decisamente apprezzare per gli intenti e per il tentativo di sganciarsi dall’abituale registro percorso dal nostro cinema. Il soggetto e la sceneggiatura sono firmati dallo stesso Riondino insieme a Maurizio Braucci, scrittore-sceneggiatore specialista della criminalità e del malaffare nel sud Italia (Gomorra, Reality, L’intervallo, La paranza dei bambini), ma è doveroso ricordare come nella stesura i due sarebbero dovuti essere affiancati dal giornalista Alessandro Leogrande, autore dell’indagine da cui è nato il soggetto, ma purtroppo scomparso proprio poco prima dell’inizio della lavorazione. Una scrittura affilata e decisa a rischiare adottando un registro, quello del grottesco, non insolito ma comunque raro per il nostro cinema, che sembra guardare (soprattutto) alla lezione di Elio Petri.
Insieme allo script gli aspetti positivi di questa curiosa opera prima stanno nel cast, di assoluto pregio e ben assortito, mentre le principali zone d’ombra nella regia di Riondino, che alterna soluzioni espressive di un certo rilievo ad altre meno convincenti. Facendosi attrarre (e talvolta invischiare) troppo dalla materia del racconto, senza trovare la giusta distanza da essa.
PALAZZINA LAF
Regia Michele Riondino
Con Michele Riondino (Caterino), Elio Germano (Giancarlo Basile), Vanessa Scalera (Tiziana Lagioia), Paolo Pierobon (Moretti)
Italia 2022
Durata 99’