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QUEL GIORNO D’ESTATE (Mikhaël Hers)
Il senso di morte che si fa accettazione di vita

David è un ventiquattrenne che vive a Parigi, dove sbarca il lunario con piccoli lavoretti come affittare appartamenti o potare alberi per il Comune. Per lui, orfano di padre e abbandonato dalla madre, che risiede a Londra, l’unico vero contatto familiare è con la sorella Sandrine, insegnante d’inglese, e con la nipotina di sette anni Amanda, cresciuta senza un papà, mentre sul piano affettivo il legame con Lena, appena giunta da Bordeaux, sembra intensificarsi ad ogni incontro. Un giorno d’estate, però, Sandrine viene uccisa insieme ad altre persone durante un attacco terroristico in un parco cittadino. Sulle fragili spalle di David, a quel punto, pesa non solo il dolore per la perdita della sorella, ma anche il dover prendersi cura della bionda nipotina…

Un film lieve e misurato su una sofferenza lacerante e immane: uno squilibrio cercato e voluto, fra trattenuta emotività e intimo dolore, per Mikhaël Hers e il suo Quel giorno d’estate. Un rischioso limite di partenza colmato però sulla lunga distanza, quando la compostezza dei toni, esangue anche subito dopo lo spartiacque narrativo della strage terroristica, viene irrobustita dal senso di responsabilità individuale e la paura del vuoto affettivo viene compensata dalla consapevolezza di un’”eredità” umana da non disperdere.

Ritratto della gioventù parigina odierna, quell’ineffabile “generazione Bataclan” oggetto di tanti dibattiti Oltralpe dopo gli attentati del 13 novembre 2015 (a cui il film di Hers evidentemente si ispira), Quel giorno d’estate è una riflessione pacificata su temi corrosivi che sovrastano persino il contesto storico-geografico in cui il film è immerso, facendosi testimone non tanto di una condizione post mortem provocata dal fondamentalismo islamico (di cui peraltro non si fa alcun cenno), bensì di una dimensione ad vitam, certamente disidratata di linfa vitale ma ancora capace di rifiorire.

Proteso, dunque, alla ricerca di un’armonia interiore ostacolata dalla morte ma, prima ancora, dall’indeterminatezza (lavorativa, sentimentale, esistenziale), Quel giorno d’estate è un film di sotterranea, malinconica dolcezza che cerca di rievocare in ogni fotogramma la fragile felicità dello stare insieme, a cominciare dall’attraversamento in bicicletta di rue e boulevard come continua, necessaria emancipazione dalle scorie della quotidianità. La rinegoziazione del dolore in placida accettazione del destino genera, in David, la partecipazione attiva alla costruzione del futuro: il suo, di ragazzo diventato uomo grazie all’esempio di tre generazioni di donne (la nipotina, la fidanzata, la madre, a cui sulle prime dà del distaccato “lei” per passare poi a un disteso “tu”), ma soprattutto quello di Amanda (non a caso, il titolo originale del film). Senza cancellare il lutto. Ma portandolo con sé come traccia indelebile, e proprio per questo fortificante, di un’innocenza perduta.

Regia: Mikhaël Hers

Nazionalità: Francia

Durata: 107’

Interpreti: Vincent Lacoste, Isaure Multrier, Stacy Martin, Ophélia Kolb, Marianne Basler

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.