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RIPARTIAMO DALLE COMUNITA’
Due casi a confronto, paradigma di ciò che le SdC rappresentano

Due sale della comunità lontane tra loro non solo geograficamente: il cinema Capitol, ristrutturato nel 1998, passando da uno a due schermi, è geolocalizzato a Sermide, paesone di 6.500 abitanti nel mezzo della pianura padana, all’incrocio delle provincie di Mantova, Rovigo e Ferrara; il Cinema delle Provincie di Roma, aperto dal 1934, situato a piazza Bologna, uno dei quartieri più popolosi di Roma (70.000 abitanti), a ridosso dell’Università La Sapienza, del Policlinico e della Stazione Tiburtina[1].

I due cinema sono stati messi sotto i riflettori, loro malgrado, per due manifestazioni molto particolari che li hanno visti al centro dell’attenzione della loro comunità locale.

Una sala “bene di tutti”

A Roma, il nuovo parroco di Sant’Ippolito (parrocchia dove è situato il Delle Province) alla fine della Messa domenicale annuncia a chiare lettere: il Cinema delle Provincie d’Essai chiude. Chiude il “Pidocchietto”, come viene simpaticamente chiamato nel quartiere, e succede qualcosa di inaspettato: il popolo – migliaia di cittadini – insorge. In pochi giorni su change.org vengono raccolte più di 11.000 firme per la petizione contro la chiusura indirizzata a Papa Francesco, al sindaco Virginia Raggi e al premier Giuseppe Conte. La cosa è inaspettata: negli ultimi tre anni a Roma hanno chiuso 42 cinema nella più totale indifferenza. Tutti pensano che le proteste, dopo un inizio turbolento, si spegneranno. Ma non è andata così…

Il parroco va avanti per la sua strada, affermando che la chiusura del cinema è inevitabile per un deficit economico non più sostenibile per la Parrocchia, e che la stessa Parrocchia ha necessità di spazi. Il cinema, insomma, deve tornare a servire le esigenze della parrocchia.

L’editore romano Pier Paolo Mocci organizza quindi un sit-in davanti al Cinema delle Province per lunedì 8 ottobre alle 18.30, con la presenza di attori, registi e con i cittadini del quartiere per difendere la sala che ormai i cittadini considerano non più solo un bene della comunità parrocchiale ma “un bene di tutti”.

Quel lunedì 1.500 persone si sono radunate davanti al Cinema (con conseguente chiusura al traffico di viale delle Provincie) per incontrare il Parroco, il quale armato di megafono ha sostenuto con i “manifestanti” un confronto serrato durato oltre due ore. La discussione ha avuto un lieto fine, e il Parroco è tornato sui suoi passi, impegnandosi a riaprire il Cinema. Cinema che ha effettivamente riaperto il 18 ottobre, grazie anche all’appoggio economico del II Municipio della Capitale, che ha stanziato un finanziamento di 20.000 euro, con i fondi della cultura, per acquistare abbonamenti per i ragazzi delle scuole del quartiere.

 

La Comunità “tiene” la Sala

Spostiamoci ora al Capitol di Sermide, che il 28 ottobre scorso ha festeggiato vent’anni dalla riapertura. La porta della multisala da quel 1998 apre tutti i giorni della settimana, dal lunedì alla domenica. Il successo di pubblico è stato subito eclatante.

È amore immediato con la popolazione. I volontari che fanno capo alla Parrocchia aumentano e da poche unità diventano tantissimi (ora sono più di 60).

La programmazione commerciale serve per sostenere la programmazione di film d’autore, ai quali la Sala non ha mai voluto rinunciare.

Il Capitol è un cinema fatto di persone, “è come una famiglia”, spiegano i volontari; fino a configurarsi come il vero punto di aggregazione non solo per Sermide ma di tutto il vasto circondario. Ormai la gente che frequenta la Sala della comunità è pari all’80% della popolazione, mentre le persone che frequentano la Messa domenicale si attestano attorno al 9%. Fenomeno, questo, che ormai si rileva anche in tante altre Parrocchie dove è presente una Sala della comunità. La comunità tutta intera tiene in vita la Sala, e in essa trova la sua ragion d’essere.

 

Per una pastorale rinnovata ed efficace

Due esperienze di sala, quella di Roma e quella di Sermide, quasi agli antipodi, ma unite da un intimo legame che le ha rese assai simili e che danno un’indicazione ben precisa: se si ritorna alla comunità nel suo più ampio significato si potrebbero ritrovare nuove strade, che spesso una pastorale troppo autoreferenziale e campata per aria non offre.

Quei “manifestanti” che sono scesi in piazza a Roma per protestare contro la chiusura del Delle Provincie e quell’80% degli abitanti di Sermide che frequentano la sala (a fronte di un residuo 9% che frequenta la Messa domenicale) hanno molto in comune. Ce ne eravamo dimenticati, forse, ma la forza delle Sale della comunità viene appunto dalla comunità intesa nel suo senso più vasto e inclusivo. La presenza del Cinema delle Provincie nel quartiere di piazza Bologna non solo aveva plasmato l’immaginario cinematografico del quartiere, ma costruito negli anni l’identità di quei cittadini, che a un occhio distratto sembrano appartenere a un territorio in preda solo al degrado e alla dissoluzione, ma a un’analisi più attenta fa emergere un senso profondo di appartenenza, segnato da gesti quotidiani scanditi anche dalla presenza della Sala sul territorio. La gente intervistata davanti alla Chiesa di Roma durante il sit-in per scongiurare la chiusura del Cinema non raccontava i film visti in sala, ma le esperienze di vita che avevano segnato quelle visioni. E si trattava sempre esperienze calde, empatiche, socializzanti… insomma comunitarie.

Quelle persone che frequentano solo la Sala e non frequentano la Messa domenicale sono parrocchiani di serie B? Pochi, immagino, risponderebbero in modo affermativo, ma nella prassi pastorale quotidiana spesso agiamo in dissonanza, e spinti da un idea di cristiano e di cristianesimo residuale, segnato da quel clericalismo da cui Papa Francesco ci mette in guardia. Molti vivono come se Dio non ci fosse, anche perché si sono abituati all’idea di una chiesa che non c’è – se non per le solite questioni di morale sessuale. In questo senso, è evidente che molti non si sono ancora sintonizzati con il pontificato di Francesco e con la nuova immagine di Chiesa che propone: una Chiesa che guarda oltre il suo perimetro e che è alla ricerca della santità nascosta delle persone, e vede una adesione, una fede nella fedeltà al quotidiano. Non si tratta di una riappropriazione acritica di spazi, che non ha alcun senso. Ma si tratta di inserire gli spazi, in questo caso la Sala della comunità, all’interno di coordinate temporali che illuminino gli spazi stessi e li inseriscano in processi nuovi, che vedano la comunità tutta (credenti e non credenti) come generatrice di azioni e di percorsi innovativi.

[1] Al Cinema delle Province è stato dedicato l’articolo di Marina Saraceno “Il fascino discreto del cinema di quartiere”, pubblicato su SdC n. 2/2018

 

Articolo pubblicato sulla rivista SdC – Sale della Comunità n.6/18 (sfogliala gratuitamente online o scarica l’App!)

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Sull'autore

Francesco Giraldo

Segretario Generale Acec

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