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THE MATCHMAKER (Benedetta Argenteri)
Un documentario sulle (ex) mogli dei combattenti Isis

Il documentario di Benedetta Argenteri è ambientato nel carcere improvvisato di donne e bambini in Siria, dopo la sconfitta dell’ISIS e si sofferma su Tooba Gondal, la donna britannica accusata di aver reclutato molte donne per lo stato islamico. Ne seguiamo la vita nel campo, con due figli piccoli da accudire, la sentiamo parlare della sua esperienza, ma tutto questo è intervallato dai tweet che inviava anni prima, tutti ispirati all’odio violento per gli “infedeli” e al sostegno degli attentati contro l’Occidente.

La donna è molto attenta ad affermare di essere molto cambiata da quel tempo e di aver subito allora un lavaggio del cervello, prendendo le distanze da quello che aveva scritto. È evidente però che la sua posizione è viziata dall’attesa del processo che certamente condiziona le sue parole. La macchina da presa scruta il suo volto, il montaggio mette accanto le sue parole con l’esperienza di altri, per esempio le ragazzine schiave vendute agli uomini come oggetti. Lo spettatore la osserva e ascolta, cercando le pieghe della voce, le indecisioni, come in una confessione che pare inattendibile. Ma è una donna indubbiamente intelligente, istruita, che viene da una famiglia agiata, una madre responsabile, benché ovviamente votata al male. Il documentario non la giudica, la presenta nelle sue contraddizioni, grazie alla capacità della regista di costruire un rapporto di fiducia con lei. La storia poi avrà anche un epilogo inaspettato.

Di fronte all’estremismo di queste persone, lo spettatore occidentale è incapace di comprendere le ragioni del male. Spesso le risposte che diamo sono improntate sulle ragioni socioeconomiche che spingono a cercare modelli diversi di società, oppure al maschilismo imperante in queste forme sociali arcaiche. Ma quando questo estremismo riguarda una donna, che vive in occidente in una famiglia benestante, lo sconcerto è massimo. Tanto più perché la sua scelta l’ha portata a una vita di stenti, ad avere tre mariti e restare tre volte vedova per la guerra oppure persino per la scelta suicida di uno di loro. Il film non permette di comprendere molto di più – la donna, come detto, non sostiene le ragioni dell’ISIS, non spiega, spesso mente palesemente, si dichiara stupita dalle sue stesse frasi – ma ci porta a contatto con realtà sconcertanti di cui facilmente si perde memoria.

A tutto questo si aggiunge la realtà del campo, abitato da migliaia di donne e bambini rispetto ai quali l’Occidente non è in grado di prendere decisioni e fare delle scelte, poi le testimonianze di altre donne che si dichiarano vittime di loro stesse o degli altri, o di una ragazzina di 13 anni che dice di essere stata venduta quindici volte a uomini abbienti. E questa è la realtà, più potente e disperante di qualsiasi film distopico.

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Sull'autore

Alessandro Cinquegrani