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TRENQUE LAUQUEN (Laura Citarella)
Un giallo argentino al femminile

Nelle sue quattro ore e mezza di durata Trenque Lauquen, della regista argentina Laura Citarella, tenta di proporre una versione sudamericana del “cinema dei tempi lunghi”, che sembrerebbe essere peculiarità di certo cinema orientale (pensiamo a Lav Diaz, per citare il più noto). La giovane autrice e produttrice è parte del “movimento del Nuovo Cinema Argentino” (el Nuevo Cine Argentino) per il quale ha prodotto La flor (Linas, 2018), film della durata di 868 minuti, attualmente il film argentino più lungo. Ma a questo si imita l’innovazione, al tentativo di realizzare film di durata superiore alla media. Trenque Lauquen, in concorso a Venezia nella sezione Orizzonti, ha al centro il personaggio di Laura, interpretato da Laura Paredes, attrice e personaggio già presente nel primo film da regista di Citarella, Ostende (2011), pellicola capofila di una saga investigativa al femminile di cui il film presentato al Lido è la prosecuzione ideale.

Laura è una ricercatrice universitaria di botanica che scompare mentre indaga su una storia d’amore italo-argentina degli anni Sessanta, il filo rosso sono lettere d’amore nascoste nei libri di un fondo della biblioteca cittadina. Due uomini si mettono in viaggio per cercarla: entrambi la amano. Questa fuga diventa il nucleo di una serie di storie che il film intreccia con delicatezza: il segreto del cuore di un’altra donna, anch’essa perduta; il segreto della vita di un villaggio in campagna spaventato da un evento che nessuno sembra spiegare; il segreto della grande pianura con i suoi vasti spazi incolti.

Le donne sono parte importante del film, sono loro a permettere sia alla protagonista sia ai due uomini di proseguire le ricerche e compiere fino in fondo l’indagine attorno ai misteri del lago rotondo, il Trenque Lauquen del titolo.

Il problema di questa pellicola è che i fatti raccontati sono volutamente inseriti in dilatazioni temporali spesso poco interessanti, sia dal punto di vista formale, sia dal punto di vista narrativo. L’occhio non indugia sullo spazio ripreso per motivi estetici o formali, ma solo nell’attesa che la storia prosegua. La lunga durata non è, quindi, un pregio, ma un scelta registica non del tutto riuscita. Interessante l’uso delle musiche, spesso troncate bruscamente per dare la sensazione di una fine inattesa e della immediata prosecuzione del racconto.

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Sull'autore

Simone Agnetti

Simone E. Agnetti, Brescia 1979, è Laureato con una tesi sul Cinema di Famiglia all’Università Cattolica di Brescia, è animatore culturale e organizzatore di eventi, collabora con ANCCI e ACEC, promuove iniziative artistiche, storiche, culturali e cinematografiche.