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UN DIVANO A TUNISI (Manèle Labidi)
Una società allo specchio sul lettino di Freud

Selma è una psicanalista 35enne dal carattere forte e indipendente, cresciuta a Parigi insieme al padre, che decide di tornare nella sua città d’origine, Tunisi, determinata ad aprire uno studio privato sulla terrazza della casa di famiglia. I suoi parenti cercano in tutti i modi di scoraggiarla, ma ben presto, grazie all’aiuto dell’esuberante proprietaria di un salone di bellezza, in strada si forma una lunga fila di persone che, vincendo ritrosie e diffidenze, intendono sedersi sul divano di Selma e sottoporsi alle sedute di analisi…

Vincitore del premio del pubblico alle Giornate degli autori della Mostra di Venezia 2019, Un divano a Tunisi colloca il proprio racconto pochi mesi dopo la caduta di Ben Ali, all’indomani, pertanto, di quella Primavera araba scoppiata proprio in Tunisia sul finire del 2010. Il contesto sociale e politico non è estraneo al film dell’esordiente Manèle Labidi, che, identificandosi nella protagonista (sospesa, come lei, tra due culture, quella araba e quella francese), utilizza in forma di commedia il percorso terapeutico individuale per comporre il ritratto di un’intera società: sul divano-lettino di Selma (una convincente Golshifteh Farahani), sintetizzata da un’eccentrica galleria di pazienti c’è, metaforicamente, la Tunisia stessa. Un Paese smarrito, aperto alle moderne pratiche occidentali con le confessioni, ad una donna, di desideri segreti e intime inquietudini, ma ancora imbavagliato da pregiudizi e condizionamenti, prigioniero di rigidi convenzioni del passato scandite da una schematica ripartizione delle categorie sociali che trova corrispondenza in una burocrazia asfissiante, refrattaria ad ogni novità.

Dietro i sorrisi che suscita, la comédie humaine che popola Un divano a Tunisi lascia trasparire disorientamento e confusione, l’incapacità (soprattutto della classe media tunisina) di gestire quei processi di cambiamento che fanno da volano alle democrazie compiute. Il lungometraggio di Manèle Labidi non affonda lo sguardo, si limita a far affiorare, facendole galleggiare in superficie, tematiche quanto mai nevralgiche nel tessuto nordafricano contemporaneo. Però il felice registro narrativo, i dialoghi spesso frizzanti, l’energia e la determinazione femminile che pulsano in molte sequenze generano un solido punto di contatto con lo spettatore.

Se il vento della Primavera araba, dunque, qui non soffia come forse dovrebbe, è pur vero che, in un’opera sul ‘ritorno alle origini’ in cui la donna è motore e fine ultimo dell’azione, l’universo maschile viene coerentemente descritto con toni semiseri e grotteschi. Una carezza, vellutata, che sa di sonoro schiaffone.

UN DIVANO A TUNISI

Regia: Manèle Labidi
Tunisia, Francia, 2019
Durata: 87’
Interpreti: Golshifteh Farahani, Majd Mastoura Mastoura, Aïsha Ben Miled, Feryel Chammari

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.