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ARU OTOKO (UN UOMO) – Kei Ishikawa
Fuggire al proprio destino nel Giappone di oggi

Sono pochi i film in cui, senza essere provinciali e localistici, gli autori sono in grado di narrare le tensioni di una piccola comunità, le pressioni di una società e di una cultura, addentrandosi nei suoi meccanismi e rendendoli un tema che tocchi le corde della sensibilità collettiva. Questo è il caso del regista giapponese Kei Ishikawa in concorso in Orizzonti con Aru Otoko (Un uomo). Il film ci accompagna in una riflessione sul destino di ogni persona e sull’identità di ognuno di noi. Siamo nel Giappone rurale dei giorni nostri, in un villaggio di montagna. Rie, una cartolaia di paese, ha trovato la felicità con il suo secondo marito Daisuke, con cui ha formato una nuova famiglia dopo il divorzio e dopo alcuni lutti. Quando anche Daisuke muore in un tragico incidente, Rie scopre che lui non era l’uomo che pensava fosse. La donna chiama l’avvocato Kido perché la aiuti a scoprire la verità sull’identità dell’uomo che amava e che dava il cognome ai suoi figli. L’indagine avrà come esito un intreccio di scambi di identità fraudolenti escogitati per sfuggire alla prorpia casta, al prorpio lavoro, alla determinatezza dei ruoli e ai pregiudizi sociali, ancora oggi molto forti in Giappone.
L’avvocato raccoglie informazioni sulle vite di coloro che hanno scelto di cambiare idenità, così facendo porta alla luce le ingiustizie insite nella società nipponica, prima di tutte l’impossibilità a sfuggire alla predeterminazione sociale, per cui quello che accade nella storia famigliare e nell’infanzia determinerà in modo irreversibile l’uomo o la donna che sarai, la tua posizione nella società e la tipologia di lavoro a cui potrai accedere. Ordine e gerarchia posti a discapito della libertà individuale, senza possibilità di perdono e di redenzione per chi ha sbagliato. Il film tocca molte tematiche, dai suicidi per eccesso di lavoro alla pena di morte, dalla condizione delle carceri giapponesi al razzismo del Sol Levante nei confornti degli altri asiatici, in particolare dei coreani.
Molto toccante la scena in cui il figlio della protagonista è confuso e arrabbiato perché costretto a continui cambi di cognome, prima quello del padre naturale, poi quello della madre, poi quello del patrigno, perdendosi nel caso giudiziario degli scambi di identità che vanno ad incidere sualla sua vita e sul cognome che deve portare.
Incrociando vari generi il regista dipinge un affresco vivido nel quale ci troviamo coinvolti e al quale lo spettatore partecipa con appassionata attesa, marcando i tratti distintivi tra la società occidentale, la sentimento del perdono cristiano, il diritto e la libertà degli individui e quella giapponese, spesso chiusa nelle proprie tradizioni.

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Sull'autore

Simone Agnetti

Simone E. Agnetti, Brescia 1979, è Laureato con una tesi sul Cinema di Famiglia all’Università Cattolica di Brescia, è animatore culturale e organizzatore di eventi, collabora con ANCCI e ACEC, promuove iniziative artistiche, storiche, culturali e cinematografiche.