Anna Maria Pasetti recensisce Diva Futura di Giulia Louise Steigerwalt presentato a Venezia 81.
Imprenditore, produttore e regista bigger than life a cui piaceva “stupire e non mortificare”, Riccardo Schicchi fu tra i protagonisti del mondo dello spettacolo italiano a tinte rosse tra la fine degli anni ’70 e degli anni ‘90 diventato famoso soprattutto per aver fondato l’agenzia Diva Futura che lanciò – tra le varie – le pornostar Ilona Staller, Moana Pozzi ed Eva Henger, divenuta poi sua moglie.
È al suo percorso umano e professionale che Giulia Louise Steigerwalt dedica il suo secondo lungometraggio di finzione, titolato appunto Diva Futura, espressione sintomatica del sogno proibito nutrito da Schicchi di liberare l’immaginario collettivo di un Paese ancora rinchiuso fra tabù e censure. Biopic ispirato all’autobiografia della segretaria di Schicchi, Debora Attanasio dal titolo Non dite alla mamma che faccio la segretaria, Diva Futura si avvale della duplice narrazione in prima persona dei due personaggi per attraversare un ventennio unico nel suo genere nello show biz, ma anche fortemente dialogante con i fatti politico- sociali del tempo, in primis la nascita e l’esplosione dell’emittenti private di berlusconiana matrice.
Con un inizio dal tono di commedia che gradualmente volge al drammatico, il film ricalca le vicende di Schicchi e delle sue dive attraverso l’uso di numerosi flashback, giustapposti però con un’arbitrarietà narrativa che evidenzia le carenze in fase di scrittura riverberate poi in una regia tanto convenzionale quanto insicura. Un testo che dunque segnala un passo indietro rispetto al buon esordio Settembre, dal quale ritroviamo l’attrice sodale Barbara Ronchi affiancata dalle solide interpretazioni di Pietro Castellitto nei panni di Schicchi e di Denise Capezza, Tesa Litvan, Lidija Kordić nei ruoli non facili delle iconiche star.