Venezia 80 Filmcronache

HOLLYWOODGATE (Ibrahim Nash’at)
Un tentativo di documentare l'Afghanistan, ma con molti limiti imposti

Hollywoodgate è un film certamente meritorio e ammirevole. Il regista egiziano sceglie di recarsi in Afghanistan per documentare il ritorno dei talebani dopo la ritirata degli Stati Uniti. Riesce a ottenere dai talebani stessi il permesso di seguire e riprendere alcuni di loro mentre si riorganizzano, prendendo possesso della base militare americana abbandonata che dà nome al film. La possibilità di vedere l’altro fronte è, per lo spettatore occidentale, davvero rara. Tuttavia il regista stesso, proprio in apertura di film, segnala che questa concessione ha molti limiti, e che sono sempre i talebani a decidere cosa riprendere e cosa no, col preciso intento di manipolare la propria immagine. Tra ciò che voleva fare, dice il regista, e ciò che poteva fare, c’è una grande differenza, e allo spettatore raccomanda di guardare negli interstizi tra l’una e l’altra prospettiva.

Sia pure con un certo rammarico, bisogna riconoscere che questi interstizi sono pertugi davvero stretti, quando il film sembra farsi più interessante e più scottante, il regista viene lasciato alla porta, e nulla si sa di ciò che succede davvero.

Resta comunque qualche elemento interessante: innanzitutto i talebani si ritengono vincitori della guerra e interpretano la ritirata degli Stati Uniti come una loro conquista sul campo, che ha portato anche grandi vantaggi. Nella base militare trovano infatti armi, strumenti, e soprattutto aerei e elicotteri da guerra abbandonati, anche se blandamente sabotati, che riparano facilmente e riutilizzano a loro vantaggio. Questo rappresenta – sono loro stessi a dirlo – una miniera d’oro, che possono utilizzare per ripristinare un regime militare. Sono, queste, verità che difficilmente filtrano nei nostri media. Ma è interessante anche vedere in mano a chi giungono questi strumenti, se si tratta di persone d’alto rango militare, che sono incapaci di fare una moltiplicazione per capire quanti soldi servono per pagare i soldati.

Nei fatti, quindi, qualcosa c’è, qualcosa ci dice questo film, ma rispetto alle premesse, bisogna ammettere che c’è poco: per la maggior parte del tempo si vedono persone che camminano o parlano di cose del tutto prive di interesse. Benché il regista meriti un grande plauso per il rischio corso in nome del cinema di testimonianza, bisogna comunque riconoscere che l’opera finale lascia delusi.

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Sull'autore

Alessandro Cinquegrani