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IL VENERABILE W. (Barbet Schroeder)
Il monaco razzista

Il “Venerabile Wirathu” è un monaco buddhista altamente rispettato e influente in Birmania. Incontrarlo equivale a viaggiare nel cuore del razzismo quotidiano e osservare come l’islamofobia e l’incitamento all’odio portino alla violenza e alla distruzione. Eppure, questo è un Paese dove il 90% della popolazione ha adottato il Buddhismo come fede: una “religione” che fonda la propria essenza su un modo di vivere pacifico, tollerante e non violento.

Diciottesimo lungometraggio di una filmografia eterogenea e che attraversa ben 6 decenni, Il venerabile W. fin dalla sua prima apparizione a Cannes 2017 è stato presentato dal suo autore come la terza parte di un’opera tripartita che lui stesso ha denominato “del male”. Una trilogia di ritratti iniziata addirittura nel 1974 (con Il generale Idi Amin Dada, sul dittatore ugandese), proseguita nel 2007 (L’avvocato del terrore, su Jacques Vergès), e che con questo nuovo lavoro si arricchisce finalmente del suo conclusivo capitolo. Ne è protagonista una figura (il monaco buddhista Wirathu) assai poco conosciuta al mondo occidentale, così come gran parte degli eventi degli ultimi 40 anni della Birmania/Myanmar raccontati nel film. Quarant’anni nei quali la minoranza islamica del paese (i Rohingya, che Wirathu chiama offensivamente i kalar) ha subito numerose manifestazioni d’intolleranza che si sono trasformate, in più di un’occasione, in veri e propri stermini di massa dei quali Wirathu ha non poche responsabilità.

Esattamente come nei due capitoli precedenti, Schroeder non prende posizione su quanto viene raccontato dal suo principale interlocutore. Si limita a dargli la parola perché finisca per rivelarsi da sé, in tutte le sue contraddizioni, in tutta la perversione ideologico-religiosa che ne contraddistingue il pensiero. Alla sua voce si limita a contrapporne altre (quelle di altri monaci, di giornalisti, di un musulmano) che costituiscono il tessuto sonoro sul quale letteralmente deflagra il contrappunto delle immagini di repertorio. Un archivio iconografico tanto ricco e prezioso quanto sconvolgente, che Schroeder assembla sagacemente, facendo dialogare materiali difformi ed eterogenei e costruendo un prezioso discorso sulla storia del Myanmar ma anche, e soprattutto, sulle distorsioni e sulle pericolose devianze prodotte da posizioni intransigenti come quelle di Wirathu. Posizioni non così lontane da noi, come potrebbe a prima vista sembrare, e che confermano l’attenzione dedicata da sempre dall’autore alle zone d’ombra dell’animo umano.

Regia: Barbet Schroeder

Con Wirathu, U. Zanitar, Kyam Zayar Htun, U. Kaylar Sa, Matthew Smith, Abdul Rasheed (nel ruolo di se stessi)

Francia/Svizzera 2017

Durata 100

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Sull'autore

Francesco Crispino

Francesco Crispino è docente di cinema, film-maker e scrittore. Tra le sue opere i documentari Linee d'ombra (2007) e Quadri espansi (2013), il saggio Alle origini di Gomorra (2010) e il romanzo La peggio gioventù (2016).