Schede Teatro

LE ULTIME SETTE PAROLE DI CRISTO
Minestra di fede per cialtrone e strumenti antichi

Ultime sette parole di Cristo

«Minestra di fede per cialtrone e strumenti antichi» recita il sottotitolo dello spettacolo Le ultime sette parole di Cristo, scritto e interpretato da Giovanni Scifoni e impreziosito dall’accompagnamento musicale di Maurizio Picchiò (santùr, liuto, chitarra) e Stefano Carloncelli (percussioni, nichelarpa, viella, ribeca).

E si può dire che questo spettacolo, della minestra, abbia almeno due caratteristiche.

La prima è la commistione degli ingredienti, che conferisce sapore al piatto. Ciò che rende godibile Le ultime sette parole è senz’altro, infatti, la vorticosa mescolanza di storie, situazioni, personaggi, registri, che si succedono senza soluzione di continuità e che convivono magicamente sul palco grazie alle indiscusse doti sceniche del loro interprete. Dalla lettura del Vangelo ai riferimenti ai Padri del deserto e a Dostoevskij, dall’evocazione di personaggi storici e di grandi figure di santi fino a raggiungere una folla di personaggi comuni, quotidiani, Le ultime sette parole sembra voler abbracciare a tutti i livelli (antico e moderno, colto e umile, piccolo e grande) quell’umanità che si pone, con fede più o meno convinta, davanti alla realtà della morte.

La seconda caratteristica per cui questo spettacolo può essere paragonato a una minestra è la semplicità. Lo spettacolo di Scifoni arriva dritto al cuore: riconnettendosi alla devozione medievale per le ultime sette parole pronunciate da Cristo in punto di morte, riesce ad affrontare con leggerezza solo apparente questioni centrali nella spiritualità cristiana come la grazia, il perdono, il silenzio di Dio sopportato pazientemente, la capacità di trovare Dio anche nel male, nella sofferenza e nella morte, la vanità della gloria umana, la fede nella risurrezione. E, coraggiosamente, arriva dritto al cuore del pubblico, suscitando emozioni autentiche, viva commozione (difficilmente, tornati a casa, sarà possibile dimenticare l’«un giorno ci rivedremo tutti» pronunciato nel finale dall’Alëša dostoevskijano), senza mai risultare pesante o noioso.

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Sull'autore

Sara Garofalo