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L’UOMO CHE VENDETTE LA SUA PELLE (Kaouther Ben Hania)
Vale più un'opera d'arte o la vita di un uomo?

Vale più un’opera d’arte o la vita di un uomo? Dove è il limite tra legge dello stato e diritto dell’individuo? L’uomo che vendette la sua pelle (The man who sold his skin), in concorso in Orizzonti, indaga questi e altri aspetti del mondo contemporaneo. La regista e giornalista tunisina Kaouther Ben Hania, che ha all’attivo altre pellicole incentrate sul tema della violazione del corpo (La bella e le bestie, 2017), racconta una storia paradossale ma verosimile di prostituzione di un corpo, in questo caso maschile, al mercato dell’arte contemporanea per ottenere in cambio libertà. Sam Ali, giovane siriano sensibile e impulsivo, fugge dalla guerra lasciando il suo paese, la sua famiglia e il suo amore per una donna da poco sposata, per recarsi in Libano. Il suo desiderio è poter arrivare in Belgio dove la sua amata si è trasferita con il marito. Mentre scrocca l’ennesimo rinfresco a una mostra d’arte contemporanea viene notato dall’artista che, riconosciutolo come profugo, gli propone di trasformarsi in opera d’arte. Sam accetta di farsi tatuare la schiena con il disegno di un visto per l’Europa. Inizia così il suo rapporto conflittuale con la scelta radicale di essere un oggetto di valore e non più un uomo che non vale nulla agli occhi del mondo.

La regista crea una collisione di mondi, fa scontrare quello del sofisticato e ricco sistema delle gallerie d’arte europee, delle aste e del lusso con la povertà di una nazione in guerra che dal benessere piomba nella totale distruzione. Nel mezzo un uomo e una donna che vorrebbero amarsi ma non possono, schiacciati dai doveri coniugali lei (un matrimonio forzato e ottenuto con la paura) e i doveri contrattuali lui (il rispetto degli accordi presi nel momento in cui è divenuto un’opera d’arte da esporre al pubblico). Kaouther Ben Hania si è ispirata all’artista belga Wim Delvoye che nell’opera Tim dal 2006 espone un uomo tatuato come fosse un’opera d’arte. Questo fatto stravagante, unito al dramma dei rifugiati politici, in particolare i rifugiati siriani, è alla base del racconto. “The Man Who Sold His Skin – afferma la regista – è un’allegoria sulla libertà personale in un sistema iniquo”. La pellicola regge la storia paradossale che narra, scegliendo di mantenersi a una discreta distanza dai fatti raccontati e mostrandoci il rapporto tra i profughi e la propria terra, mettendo sull’orizzonte dei fatti narrati quel desiderio di tornare a casa che resta sempre e comunque nel cuore degli uomini, per quanto le condizioni di quel luogo siano sfavorevoli.

L’UOMO CHE VENDETTE LA SUA PELLE
Titolo originale: THE MAN WHO SOLD HIS SKIN
Regia: Kaouther Ben Hania
Durata: 104’
Paesi: Tunisia, Francia, Germania, Belgio, Svezia
Interpreti: Yahya Mahayni, Dea Liane, Monica Bellucci, Koen de Bouw, Darina Al Joundi, Christian Vadim

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Sull'autore

Simone Agnetti

Simone E. Agnetti, Brescia 1979, è Laureato con una tesi sul Cinema di Famiglia all’Università Cattolica di Brescia, è animatore culturale e organizzatore di eventi, collabora con ANCCI e ACEC, promuove iniziative artistiche, storiche, culturali e cinematografiche.