Quante volte un padre può sbagliare di fronte al proprio figlio? Quanto il mondo adulto e quello dell’infanzia sono distanti? Il regista australiano Jason Raftopoulos cerca di rispondere a queste domande dichiarando di ispirarsi al neorealismo italiano per il suo lungometraggio d’esordio West of Sunshine, in concorso ad Orizzonti 2017. Ad uno sguardo attento, di questa alta ispirazione, resta solo il tema popolare e drammatico e null’altro. Tutta la parte stilistica, di scrittura e attoriale sono perfettamente ancorate ad un sistema di linguaggio tipico della finzione cinematografica e dell’industira dello spettacolo occidentale.
In una ridente cittadina australiana vive Jim, padre separato, che ha solo un giorno per restituire un consistente prestito di gioco ad un amico usuraio che ne ha urgentemente bisogno, ma quel giorno Jim deve occuparsi del figlio a casa da scuola per le vacanze. Il rapporto di Jim con il figlio viene messo alla prova nel momento in cui i suoi incoscenti piani per ripagare il prestito falliscono: il vizio del gioco d’azzardo e un passato fatto di sregolatezze, droga e illegalità emergono di fronte agli occhi annoiati e arrabbiati del figlio.
La mancata relazione educativa tra il genitore (uomo non abbastanza adulto per esserlo) e il figlio (un bambino normale e felice) struttura e articola questo film. Jason Raftopoulos è capace di descrivere la mentalità di un giocatore d’azzardo, un uomo che alla vita famigliare e domestica preferisce il rischio e le scommesse, nella convinzione di sistemare per sempre le cose che in realtà sta distruggendo. Il regista portandoci su di una vecchia e lussuosa auto ci mostra la quotidianità lavorativa della città, quel mondo invisibile a chi è sempre a scuola. Se in questo mondo adulto si fosse strutturata una rete sociale adeguata, buona parte dei problemi di Jim (e di altri amici e colleghi che non sanno dove lasciare i figli d’estate) si sarebbero risolti mandando il ragazzo ad un campo estivo, mancando questo senso di comunità, emerge il disagio.