Il profilo vario, misterioso e spesso stupefacente della cinematografia iraniana emerge ogni anno sempre di più nel panorama del cinema mondiale. Malaria è una nuova crepa nell’aura di mistero che avvolge l’antica Persia, una fessura che lascia trapelare in occidente idee, pensieri, disagi di una popolazione in bilico tra tradizionalismo oscurantista e modernità desiderata e sognata.
Una giovane ragazza comunica al padre di essere stata rapita e gli chiede di portare il denaro del riscatto. Il padre e i fratelli, pieni di ira, vanno a cercarla a Teheran. Non sanno però che la ragazza è fuggita con il fidanzato e che passa il tempo insieme ai Malaria, un gruppo di musicisti di strada. Dopo l’arresto del leader del gruppo con l’accusa di sequestro di persona, la giovane cerca con il fidanzato una via di fuga dal suo destino già scritto.
Il regista Parviz Shahbazi ambienta la storia nei giorni dell’accordo per il nucleare iraniano, tessendo la trama attraverso le registrazioni del cellulare della giovane coppia in fuga; internet e la telefonia sono sempre presenti. In una civiltà avanzata e in crescita economica, a questi giovani pieni di sogni e di desideri, manca la libertà, mancano piccole possibilità di realizzazione personale, manca, banalmente, l’opportunità di una coppia di fidanzati in gita a Teheran di prendere una decente camera d’albergo, attività ritenuta immorale e illegale. La regia dice e non dice, racconta e non racconta, loda il governo per il successo politico ma vorrebbe che la protagonista potesse essere ripresa senza velo e che il suo destino di emancipazione dal fidanzato, dai fratelli e dal padre fosse percorribile.
MALARIA (Parviz Shahbazi)
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